“Vulesse ‘o cielo ca turnasse”, gli Imprenditori di sogni a “La Corte della Formica”

Vuless o cielo ca turnasse

Il ricordo di un momento storico indecifrabile, un omaggio a chi di quel momento è stato martire, carne da macello, consegnato da un idea, un ideale, nelle braccia mortali della follia umana. “Vulesse ‘o cielo ca turnasse”, di Raffaele Galiero, è il contributo dell’Associazione culturale “Imprenditori di sogni” alla decima edizione della Festival del corto “ La corte della formica”, in scena al Teatro Piccolo Bellini, sotto la direzione artistica di Gianmarco Cesario, fino al prossimo 2 novembre. “Vulesse ‘o cielo ca turnasse”, interpretato da Carlo Liccardo, Francesco Saverio Esposito e Gianluca Scuotto, per la regia di Giovanni Merano, è la ricerca, il tentativo, di una testimonianza fedele, di ciò che gli anni della Grande Guerra, hanno lasciato nel corpo e nella mente di chi ha combattuto l’isteria di quel momento, al fronte, in città, o anche solo nei racconti di una generazione graffiata purtroppo non ancora del tutto dalle atrocità degli istitnti umani.
Tre personaggi si raccontano, ognuno in un posto preciso, ognuno protagonista della propria trama, ogni intervento scandito da una luce, che è megafono, attenzione, considerazione. L’ingenuo figlio della patria (un gigantesco Francesco Saverio Esposito), al fronte dopo essere stato strappato via dal proprio progetto di vita, da una famiglia, da un lavoro, da un futuro sereno, angosciato, impaurito, tormentato, racconterà ai fogli di carta, prima ancora che alla propria famiglia, ciò che sono quei giorni, li, da solo, con accanto soltanto la speranza di un imminente fine delle ostilità. Il finto dritto al fronte (bravissimo Gianluca Scuotto), cinico e deciso a fare anche di quell’esperienza, l’occasione per guadagnare qualche soldo, assolutamente avulso alle dinamiche da trincea, attende la fine del conflitto tra paure, mai raccontate , ed imprecazioni contro tutto e tutti. Il suo posto è lontano da li, i suoi giorni, scanditi, saranno dall’arte di arrangiarsi e di fiutare il momento, di svincolarsi dalle leggi, dalle regole, dalla dimensione che accompagna ogni onesto cittadino. Ma ora è li, e tanto saper stare al mondo, può contare niente, li si è uguale agli altri, stesse paure, stesse ansie, stessa voglia di fuggire via. Il terzo personaggo (eccezionale interpretazione di Carlo Liccardo) è invece rimasto in città, vive la guerra da lontano, ne osserva gli esiti di notte, nei suoi sogni, ne racconti di chi bussa al suo riposo. Uomo, donna, non conta, la sua vita è segnata dal tormento di una dote, che forse dote no è. Sogni premonitori, incubi incessanti, e la richiesta di un numero, un indicazione per cambiare la propria vita. La guerra quotidiana, anche lontano dal fronte, contro se stessi, contro la propria immagine, ed il proprio destino, all’apparenza ormai segnato. A differenza degli altri due, qui non esiste progetto futuro, c’è solo un triste presente, lontano dal conflitto, ma altrettanto carico di ansie, terrore, incertezza. Attenta e sicura infine, la regia di Giovanni Merano, consapevole di quanto lo spettacolo potesse e dovesse essere, arbitro equilibrato di tre storie, figlie della stessa tragedia, supportato alla perfezione, dall’estro e la professionalità di tre meravigliosi interpreti.