Tra Eduardo, Peter Brook e Shakespeare, la nuova stagione del Teatro Bellini di Napoli affascina ed incuriosisce.

Giusto il tempo di tirare le somme, di una stagione che, definire eccezionale, per la qualità dell’offerta, sarebbe davvero riduttivo, ed ecco pronta, la griglia, le schede, le idee, di una nuova “annata”, che c’è da giurarci, si annuncia altrettanto, straordinaria. Il Teatro Bellini di Napoli, da anni ormai, baluardo di un certo teatro, di una certa idea di cultura, di un certo concetto di arte, di un certa idea di coesistenza tra espressione, spessore artistico, rivisitazione, brillante intuizione. La proposta, a tratti, potrebbe definirsi, formativa, tanto è possibile, crescere, per lo spettatore, che la fa sua. “Vangelo”, di Pippo Delbono, “L’ora di ricevimento”, di Stefano Massini, con Fabrizio Bentivoglio, “American Buffalo”, di David Mamet, diretto ed interpretato da Marco D’Amore, e poi “Il nome della rosa”, nella versione teatrale di Stefano Massini, “Quel gran pezzo della Desdemona” di Luciano Saltarelli, “Questi fantasmi” con la regia di Marco Tullio Giordana, e “Il Sindaco del rione Sanità”, nella rivisitazione  di Mario Martone , “Battlefield”, tratto dal Mahābhārata e dal testo teatrale di Jean-Claude Carrière, adattamento e regia Peter Brook e Marie-Hélène Estienne.   E poi tanto, e molto altro ancora. Fuori abbonamento, ad esempio, il “Glob(e)al Shakespeare”, sei spettacoli, dell’autore britannico, in un Teatro Bellini, privato delle poltrone della sala, in modo da rievocare il teatro elisabettiano secentesco. Un progetto tanto enorme e di spessore, quanto complesso da raccontare dalle origini, dall’idea di base, che è quella di rielaborare il concetto di teatro tra la gente, teatro che assorbe, che “divora” lo spettatore. E poi l’offerta del Piccolo Bellini, e poi i concerti, e poi la danza, e poi le iniziative, le manifestazioni, i progetti che rendono sempre e comunque protagonista un teatro, ed un modo di fare teatro, che appartiene ormai, nella sua interezza alla città. Il Bellini, la sua opera, la sua idea, parte integrante di una crescita, culturale, che anno dopo anno accompagna sempre più spettatori verso una coscienza, che non sia solo morale o pseudo tale. L’uomo, l’arte, la vita. Assistere a ciò che siamo, a ciò che eravamo, a ciò che potremmo essere, per crescere, per conoscere, per affermare se stessi.