“The Dark Side of The Moon” , I Pink Floyd Legend al Teatro Augusteo di Napoli
Come si fa a raccontare un album come “The dark side of the moon”? Come si fa a descrivere, in un certo senso freddamente traccia dopo traccia, l’esplosione d’emozioni e visioni che ci travolge anche al millesimo ascolto. Come si fa, ancor di più, a descrivere, raccontare, l’esibizione live dell’album. I Pink Floyd Legend, in scena al Teatro Augusteo di Napoli , rendono omaggio alla band inglese, chi più di loro potrebbe farlo. Rendono omaggio con lo spettacolo live, dedicato proprio all’album del 1973, con milioni di copie vendute da allora e posizioni in classifica praticamente ad honorem. Come si racconta una serata del genere? Semplice, non si racconta. Si vive.
E’ da vivere l’attesa, all’esterno del teatro, con chi si scambia tutte le informazioni e le riflessioni possibili e immaginabili sulla band, le eventuali esperienze vissute nell’assistere a questo o quell’altro tour, venti, trenta o forse quarant’anni fa.
E’ da vivere l’emozione negli occhi di chi tra poco sa che sarà letteralmente travolto dai ricordi e da vibrazioni dell’anima difficilmente condivisibili.
La band, i PFL, è sul palco, e tutti già attendono la prima nota per immaginarsi li nel prisma, investiti dalle tinte dei suoni, delle parole, delle immagini. Si parte con un piccolo best of, è la prima parte, ed è giusto attingere anche ad altre esperienze targate Pink Floyd, “The Wall”, “Animals”, “The Final Cut”, “che te lo dico a fare”, parafrasando il “Donnie Brasco” di Mike Newell.
Seconda parte, ed il cuore che batte, gli occhi che cercano un appiglio e l’anima, l’abbiamo detto no? Che va dove vuole. Uno dopo l’altro, senza sosta, senza accorgerti di chi ti sta accanto, senza realizzare bene il perchè di quella scarica intensa e quasi onirica, capace solo a chi sta li, in alto, ma molto in alto.
“Speak to me/Brethe” ed eccoci immersi in qualcosa che cominciamo ad annusare come grandioso, “On the run”, non è come tutto il resto, qui qualcosa non torna, questi qui fanno sul serio. “Time”, ed ecco l’avvinarsi dell’estasi, di quel momento in cui la mente è solo li, libera d’essere portata ovunque. “Money”, “Us and Them”, cosa volete che vi dica, cosa si dice a chi è rapito da se stesso per intercessione di quattro giovanotti che un giorno decisero che niente più, musicalmente parlando, sarebbe dovuto essere come prima. “Any colour You Like”, “Brai Demage”, “Eclpipse”, i Floyd Legend, fanno sul serio, è l’apoteosi, la fine si avvicina e loro hanno dato tutto, il pubblico ormai stremato dalle emozioni va ovunque lo si conduca. Saluti a tutti, ma è il solito bluff, sotto con i bis, “Wish You Were Here”, “Confortably Numb”, va bene, va bene cosi, “facciamoci del male” per dirla alla Moretti. Le luci scendono, la band, impeccabile, si congeda e rimanda alla prossima esibizione, al prossimo mistico incontro, al prossimo incontro sopra ogni riga, al prossimo viaggio, tra se stessi, il sogno, il reale, targato Pink Floyd.