Peng, lo show della vita, nuda e cruda in scena al Piccolo Bellini di Napoli

Una carrellata di episodi, di immagini, di attimi di vita vissuta, forse, o soltanto atrocemente manipolata per un fine che non è mai quello immaginato.
C’è davvero speranza per il genere umano, di questi tempi? L’interrogatorio che aleggia nell’aria mentre si è intenti a seguire lo show imbastito per l’occasione. Ciò che siamo e soprattutto ciò che non siamo, è più che mai opportuno. Il testo di  Marius Von Mayenburg, nella traduzione di Clelia Notarbartolo, per una produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, percorre i passi di vita, di uno degli uomini nuovi dei nostri tempi, chi nasce e cresce oggi, in una famiglia che immagina per il piccolo, come consuetudine il meglio, e forse indirettamente addirittura il peggio, visti certi atteggiamenti.

Manuela Giusto

La regia di  Giacomo Bisordi, bada nettamente al sodo, nonostante una messa in scena realisticamente parlando complessa, fatta di continui colpi di scena visivi, concettuali, profondamente vivi. Una storia che nasce e cresce, nella visione da parte degli spettatori attraverso un apparentemente folle punto di vista. Per certi versi cronaca, distorta. Artificialmente esasperata ma profondamente autentica. Per certi versi quint’essenza di un teatro dinamico che si lancia a più riprese in folgoranti caprioli stilistiche abili nel consentire allo stesso pubblico di entrare più che mai nel vivo della scena..

Sul palco, frenetici e incredibilmente veri, Fausto Cabra, Aldo Ottobrino, Sara Borsarelli, Giuseppe Sartori, Anna C. Colombo, Francesco Giordano presentano Peng, lo coccolano, perversamente o meno nei primi anni di vita, lasciando presagire un certo destino per un bambino non comune, un bambino tristemente precoce, con le idee paradossalmente e terribilmente chiare. “Peng”, in scena in questi giorni al Teatro Piccolo Bellini di Napoli, è un racconto come tanti, ma allo stesso tempo profondamente diverso da quasi tutti gli altri.

La peculiarità è nella forma. L’idea di concepire il tutto attraverso una netta presa di posizione da parte di chi dirige e concepisce una propria visione delle cose. Colpisce la dinamicità, l’autentica purezza, quasi atroce dei protagonisti. La folle e quanto mai necessaria definizione del protagonista assoluto, quint’essenza del tutto e del niente. Il presente, spietato e cinico cosi come lo concepiamo, come lo osserviamo, nel più triste dei presagi riguardanti la nuova generazione, popolazione, classe dirigente.

Peng non è mai banale in ciò che immagina, in ciò che pensa, in ciò che concepisce. In scena il reality costante, il quotidiano indirizzato dalla smania dell’apparire dell’essere definito all’esterno in un certo modo, inquadrato, quasi invidiato per una precisa e netta posizione. Peng è l’apocalisse, reale e scenica di un qualcosa che tutti forse conosciamo e con il quale non sempre riusciamo a confrontarci, rapportarci. Tutto è davvero cosi tanto atroce? Il mezzo, l’essenza, fanno davvero cosi tanta paura? Il pubblico partecipa e comprende, attento, il forte messaggio di fondo. Siamo ancora in tempo? Possiamo ancora raddrizzare il tiro? Peng, è già tra noi?