“Open Mic Farm”, tra Orwell e il contemporaneo: in scena al Teatro Tram

Una rivisitazione in chiave teatrale, riscrittura contemporanea e dai toni umoristici per un grande classico della letteratura.

Niente, è definitivo, ogni cosa può essere soggetta a rilettura, ricollocazione, decontestualizzata e riportata in altro ambito. Ciò che conta è lasciarne vivo il messaggio, l’impianto, la visione. Al Teatro Tram di Napoli, dove il teatro nella sua forma più viva, autentica ma anche sperimentale trova sempre più spesso casa, va in scena un piccolo gioiello della riscrittura. Al centro, George Orwell e le sue disincantate e atroci riflessioni sull’uomo, in uno dei capolavori mondiali della letteratura, “La fattoria degli animali”.

“Open Mic Farm”, ne è la riscrittura, in chiave contemporanea, fedele nell’idea e per l’appunto nella visione, nella riflessione che al centro di tutto regna, in ogni caso sovrana. Gianluca Ariemma concepisce il nuovo contesto scenico, adatta toni, ambienti, rende leggibile, e più che mai emozionante, l’essenza del testo, proponendolo nel modo più efficace possibile. Comunicazione, show televisivo, stand up comedy, un nuovo linguaggio per un messaggio che resiste nei secoli.

In scena, lo stesso Ariemma, insieme a Giulia Messina e Salvo Pappalardo, riparte dalla vecchia fattoria del signor Jones e da li, per un viaggio a tratti multimediale, tra le varie fasi della narrazione. Il tutto,  fino al finale,  inaspettato, che di fatto sentenzia, con crudo realismo, la sconfitta, in ogni caso, forse definitiva del fare umano, o come in questo caso, animale. La differenza è davvero tanto tangibile?

In scena gli attori viaggiano, coordinati in ogni tratto scenico dalla necessità di lasciar viva, la nuova visione. Dinamica, giovane, squisitamente acerba. Un confronto con il classico senza tempo che ancora una volta pone le basi per riflessioni nuove, in un certo senso da ricollocare. Via il vecchio secolo, via l’allegoria sovietica, il nuovo tocca con mano i nostri giorni e lo fa utilizzando gli stessi mezzi utilizzati, spesso, da chi governa.

Il palco è gravido di ambizione, in tre prendono la scena e ne fanno una continua altalena di contenuti, spesso saggiamente provocatori dall’essenza assolutamente spiccata, a tratti geniale. Il pubblico apprezza, lo dicono gli occhi, lo dice l’attenzione profonda in alcuni momenti. Alla fine l’applauso chiude il cerchio. Il confronto, ancora lui, con il classico, con gli anni trascorsi, in un’epoca in cui tutto, sembra a volte capace di ritornare. Cambia il contesto, insomma, ma non l’essenza, non il messaggio. Come a teatro, come nel buon teatro.