Molière..Jouvet..Jacques..Servillo.. Il teatro, si fa carne, al “Bellini” di Napoli

 

 

Il teatro, raccontato, attraverso una delle sue storie, attraverso uno dei suoi momenti di maggior intensità. La preparazione di uno spettacolo, la lettura, la comprensione, la rilettura, fredda spontanea, e poi mirata, calibrata, intesa secondo ciò che detta il proprio trasporto verso un’arte immensa. L’interpretazione, il ritmo, il corpo, la parola. Essere ciò che avvertiamo attraverso il copione, o fingere, disinteressarsi al volere dell’autore. Toni Servillo, dirige ed interpreta “Elvira” di Brigitte Jacques (Elvire Jouvet 40), da “Molière e la commedia classica” di Louis Jouvet, in scena al “Teatro Bellini” di Napoli, fino al prossimo 12 Febbraio. Tradotto da Giuseppe Montesano, interpretato, inoltre da Petra Valentini, Francesco Marino e Davide Cirri. Un’allieva, ed il suo maestro, pochi compagni di studi. Un testo ( Don Giovanni, di Molière), e la totale assimilazione. Entrare nelle intenzioni, nella poetica, dell’autore, lasciarsi coinvolgere dalle proprie intenizoni stilistiche e narrative, per esserne rapiti, ed incarnare al meglio, un personaggio, che mai potrebbe aver davvero preso vita. Il maestro è attento, scrupoloso, innamorato della propria visione del teatro, dei suoi uomini e delle sue parole. Servillo dispone ed argomenta, con estro sicuro, muove i fili, discreti, d’una commedia che sa di vita, d’una vita, da scandire. Il teatro, tempio, orgoglio, vita. Molière si confida, con esso, il maestro, e lui, insegna. Insegna la sua visione, del messaggio, dell’opera, dell’autore. Insegna a lasciarsi rapire da qualcosa che non possiamo dominare, ma alla quale è necessario soccombere, per lasciarsi trafiggere, serenamente, a colpi d’arte. Incerta, prima, decisa, poi, l’allieva, incoraggiata dai suoi compagni, accetta la sfida, e si lascia guidare, tra le tormentate visioni di artista delle parole, e dell’animo umano. La sfida è il dramma, l’attento percorso di chi duella con se stesso, alla ricerca di una verità, relativamente assoluta. Il maestro traccia la strada, racconta l’uomo, insegna alla giovane donna, la vita. Il teatro, testimone di una metamorfosi discreta, ma rivoluzionaria, vigila ed accetta d’esser seme, di speranza. E poi la guerra, l’uomo, disposto ad annientarsi. Superficiale come l’istinto mediocre di chi non sa ascoltare, leggere, interpretare. La guerra, il buio, e poi la speranza. Una luce, debole, ansiosa di vivere, sfiora il palcoscenico. Silenzio.