“Mein Kampf”, da Adolf Hitler a Stefano Massini: 100 anni per provare ancora a capire
Cento anni da quando un giovane Adolf Hitler diede vita a quella che può essere definita come il sacro libro nazista. Stefano Massini, oggi, ne ripropone punti e visione.
Stefano Massini porta in scena ciò ce ha dato, di fatto origine alla terrificante esperienza nazista. Cento anni tra la nascita di ciò che può essere definita come struttura teorica di un movimento che ha per sempre cambiato la storia del novecento e non solo. Al Teatro Bellini di Napoli, quindi, una sorta di esperimento artistico, stando a quanto dichiarato dallo stesso Massini a margine della messa in scena dello stesso spettacolo.
Cosa succede tra le maglie di un intero popolo, all’interno di uno specifico contesto, in un momento storico particolarmente complesso, se le stesse vengono scosse dall’ambizione e dalla speranza, in un certo senso di un giovane pittore che proprio non vuole restare a guardare lo scorrere inesorabile dell’esistenza da una posizione secondaria.
Cosa scatta, tra la gente e in chi prova a farsi paladino di quello stesso popolo. Che effetto fanno, oggi, quelle parole. Il “Mein Kampf”, il testo sacro, per cosi dire, nazista, l’impianto teorico di un movimento che ha rischiato di dominare l’Europa a ogni latitudine. Stefano Massini, oggi, propone, cosi come anticipato, una sorta di esperimento. Che effetto possono fare, oggi, quelle stesse parole, in un momento storico di certo altrettanto delicato? Come può reagire, oggi, un rappresentante qualunque di quel popolo fortemente in difficoltà ai nostri giorni.
La scelta di Massini, artista amato e apprezzato praticamente ovunque e in contesto, dalla televisione al teatro, per l’appunto, è quella di offrire al pubblico un versione quanto più fedele possibile delle posizioni hitleriane, che hanno tanto scosso, fatto vibrare, appassionato, milioni e milioni di tedeschi. Ciò che nasce da tale esperienza, non è soltanto il confronto con l’orrore nazional socialista, con la violenza, la barbarie, ma anche un intimo rapportarsi una sorta di manifesto che per molti anni è rimasto nascosto come una sorta di ingombrante tabù. Oggi, Stefano Massini prova a scardinare una sorta di velato timore, getta, in pasto al pubblico, parole e riflessioni che furono del dittatore tedesco Adolf Hitler.
Alla fine, l’intensità stessa della messa in scena, la capacità di Massini, ormai collaudata di entrare perfettamente in ogni storia, in ogni racconto e di accompagnarci dentro lo spettatore. Toccare i tasti giusti, sapere quando e come muoversi attraverso le varie fai narrative. Il risultato appare quanto mai prevedibile. Un modo inconsueto di approcciare al testo hitleriano, quasi privo di dubbi e timori, nel tentativo di riconoscere, drammaticamente la stessa potenza di ciò che lo stesso testo rappresenta. Gli applausi, confermano le intenzioni dell’autore. Il “Mein Kempf” non può e non deve essere dimenticato. Oggi, più che mai, conoscere certe sfumature dell’animo umano non può che tornare utile. La storia, a volte, può davvero essere capace di mostrare, ancora una volta, i suoi aspetti più oscuri