Maurizio Capuano fa rivivere Pietro Koch, la sua banda, la sua storia, la sua fine, allo ZTN di Napoli

 

Un racconto a metà, tra indagine storica ed affermazione di una giustizia, spesso vittima della sete di vendetta, di una parte d’Italia, contro l’altra. “Io sono Pietro Koch”, di Maurizio Capuano,
andato in scena allo ZTN di Napoli, è la storia di un uomo, non di un soldato, non di un fascita, non di un rappresentante di qualsiasi istituzione dell’epoca, un uomo. Beneventano di nascita, Koch a capo di una temibile banda, semina terrore tra gli antifascisti, a causa dei folli tratti dei suoi uomini e dei metodi di tortuta, da questi adottati, per estorcere preziosi confessioni. La banda Koch, figlia della guerra, del regime, e del clima di quegli anni è protagonista di molti dei fatti di sangue che hanno caratterizzato gli ultimi anni del ventennio fascista. La messa in scena, diretta dallo stesso Capuano, colpisce per  dinamcità ed imprevedibilità. Gli attori, ispirati e visibilmente presi dall’intensità del testo, occupano come schegge impazzite lo spazio di scena, al punto da fondersi con il pubblico, presente su ogni lato. Capuano, mette mano ad un tema, ancora per troppi spinoso, e velato da una sorta di veto morale, difficile quantomeno da interpretare. La storia di Pietro Koch e della sua banda, la storia di un uomo, che in fin dei conti eseguiva degli ordini, che si è di certo macchiato di orrendi ed inqualificabili crimini, ma che forse, avrebbe meritato un giudizio, non solo politico. Essere giudicato insomma, per ciò che è stata la sua storia, le sue colpe, le sue azioni, e non per il colore, di una posizione, tutto sommato nemmeno tanto sbandierata. Capuano sembra interrogare il pubblico, sembra chiedere attenzione su una storia quasi mai raccontata, prende posizione, attinge a documenti ufficiali, fa nomi e cognomi di chi si è macchiato di un’intransigenza di parte, protagonista, spesso a torto dell’immediato dopoguerra. Fa leva, l’autore, sull’onestà intellettuale del suo pubblico, presunta o tale, su ciò che il concetto di democrazia dovrebbe intimare, e ciò che invece, soffocato dall’istinto vendicativo di chi ha anche solo psicologicamente o ideologicamente subito un torto, si autoproclama giudice, tribunale, legge. Il bigottismo integralista di chi ha dato la libertà, consapevole allo stesso tempo di aever lasciato , a volte, troppo poco campo alla ragione, alla riflessione, a quella giustizia,
da sempre, pretesa.