Luca Pizzurro racconta di un uomo, Andrea Fiorillo da corpo all’orrore che può nascerne
L’uomo è li, in casa sua, il viso apparentemente rilassato, l’ambiente i limiti dell’accogliente ma non sgradevole. L’uomo racconta, di se, delle sue origini, del suo presente, dei vicini, della città, delle abitudini. Andrea Fiorillo ne veste i panni, Luca Pizzurro ne dipinge la trama, il trascorso, i tratti in alcuni momenti stanchi di una vicenda che va a scoprirsi con lo scandire impetuoso dei minuti. Il Teatro Tram, la casa, oltre la scena, oltre il luogo del racconto, è li che è in scena “Ad occhi chusi”, fino al prossimo 9 Febbraio.
Il racconto dell’uomo si fa intenso, guarda alla finestra, scruta il contesto e tra tutti scegli il suo prediletto, lo coccola con lo sguardo, lo protegge da chi potrebbe fargli de male, lo invita nella condizione accogliente di una casa, perchè lui, il ragazzo, sembra non avere punti di riferimenti, il calore di una famiglia, la premura, di chi ti vuole davvero bene.
Il ragazzo entra nella vita dell’uomo, è giovane, ingenuo, forse meno di quanto immagini però. Si lascia guidare dall’uomo, si lascia proteggere, si lascia forse istruire, il racconto, dell’uomo va in questo senso, disegna una trama che ci è impossibile verificare, la sua parola, la sua esperienza su tutto, è l’unica versione , l’unica prova di qualcosa che nemmeno conosciamo, di una situazione che andiamo scoprendo ma che forse non comprendiamo pienamente.
L’uomo accoglie il ragazzo, lo protegge, lo ama, se ne innamora, realmente, ci vede qualosa che non comprendiamo perchè non capiamo bene doveche ci sta portando la trama di Pizzurro che dirige con fare autorevole, ci conduce li , dove immaginiamo di non arrivare, ci lascia intendere qualcosa che poi realizziamo non essere ciò che pensiamo. Ci lascia liberi di ipotizzare, situazioni, che realmente , in quella trama, forse non esistono. L’uomo racconta, è crudo, si arrabbia, diventa all’improvviso meno ospitale, c’è collera nel suo sguardo, c’è sofferenza, c’è dolore, forse.
L’uomo si innamora, il ragazzo, ha soltanto dieci anni. Il racconto del primo incontro ci fa rabbia, quelle parole ci danno fastidio per la potenza e la violenza, formale, quasi allegorica perchè non è il racconte a sconvolgere, ma l’immagine che ne facciamo derivare. L’uomo racconta e ci pervade il disprezzo verso chi acconsente all’essere carnefice, chi ad un certo punto non scinde ragione e istinto e tante altre cose. L’uomo ci accoglie nella sua miseria, nel suo cinismo, nell’orribile percezione di se, come d’un rassegnato e rigido peccatore. Per ciò che sente, per ciò che ignora, per ciò che finge di nascondere. Il peccato dell’indifferenza, cosi, come se nulla fosse, uno, due, dieci, cento “amori”, della carne, della perversione travestita da premura. L’uomo scompare, e con lui quel velo di rabbia e tristezza, rabbia e angoscia, e terrore immaginato negli occhi di chi, ha detta sua , ha “amato”. Le luci si accendono, ed il teatro ha compiuto il suo percorso , la sua missione. Applausi, sinceri, spontanei, per l’uomo, per la rabbia in noi, per ciò che spesso dimentichiamo di considerare, per chi ha paura, e per chi ha il coraggio di raccontare l’orrore di cui l’uomo, oltre il palco, oltre la finzione, può essere, purtroppo, protagonista.