Lu cunto di Emma Dante in scena al Teatro Bellini di Napoli
Il palcoscenico è vuoto, in scena solo due “seggiulelle” di legno pieghevoli, un tavolino con un castello, in fondo un baule e in proscenio una porta. Quello che dà vita a “La scortecata” di Emma Dante sono i bravissimi attori Carmine Maringola e Salvatore D’Onofrio, un gioco di luci ed ombre affascinante, musiche coinvolgenti e la lingua napoletana de “lo cunto de li cunti” di Basile da cui la regista palermitana adatta il testo. La narrazione in terza persona della fiaba lascia il posto a quella in prima persona dei due attori che interpretano e si scambiano continuamente i ruoli (di sorelle, re e fata), impersonando come nel teatro greco e poi in quello shakespeariano, due donne. Rusinella e Carulina zucano avidamente il mignolotto per renderlo morbido e liscio come quello di una giovinetta,per raggirare il re, escogitando l’inganno che le solleverà dalla miseria in cui versano e dalla deformità della vecchiaia a cui nessuno scampa. In un continuo botta e risposta senza sosta, il ritmo è scandito da una sapiente scelta di musica e luci che pongono l’accento sulle movenze, sui vari personaggi, interpretati alternativamente e confusamente, facendoci scordare chi è l’uno o l’altro, mescolando ininterrottamente, recitando quello che raccontano e raccontando quello che recitano. I corpi nerboruti dei due attori fanno da contrasto alle pose anchilosate delle vecchiarelle e con l’attento uso delle luci (Zucaro), la scena, di per sé essenziale, si riempie magicamente. Il punto cruciale è la brama della giovinezza, esasperata, anelata ardentemente, la chimera della bellezza a tutti i costi tanto da arrivare alle estreme conseguenze quando il finale non è un “ e vissero felici e contenti” come nelle fiabe disneiane ma una lama tremendamente scintillante che scortica la pelle avvizzita della vecchia per farne uscire quella nuova.
Caterina De Filippo