L’olocausto, la memoria, e verità, mai tanto spietate, in scena allo ZTN di Napoli

Un campo di sterminio, niente di più familiare in questi in questi giorni. Come immagine, come ritornello storico e scenico. Immagini, testimonianze, bianco e nero, tragedia, lacrime, commozione. Un campo di sterminio, in questi giorni, è la commemorazione di massa. È il momento in cui tutti, dimenticano tutto il resto e si concentrano, anima e corpo sull’immane tragedia dell’olocausto. Quello ebraico. Seconda guerra mondiale. Carnefice, la Germania nazista. Un campo di sterminio, come un grande circo, e come al circo, buffi personaggi, maschere, proiezioni artistiche di una realtà tanto atroce, quanto “teatralmente” bizzarra. “Ceneri – i corvi neri del Sonderkommando”, scritto e diretto da Maurizio D. Capuano, in scena in questi giorni (fino a domenica 27), presso lo spazio teatrale “ZTN”, è il tentativo, riuscitissimo, di proporre un’alternativa, valida, complessa, importante, alla commemorazione preconfezionata degli ultimi anni. Esperiemento umano, sociale, artistico, al quale non si può non riconoscere l’assoluta originalità e la profonda conoscenza dell’argomento in ogni suo aspetto. Teatro, perchè è di teatro che si parla in questo caso. Di teatro, con la “T”, maiuscola, grossa enorme. E già, perchè quando si mescolano elementi artistici, stili, generi, colori, citazioni, storia, ritmo, ottimi dialoghi, intense interpretazioni, e allora è teatro, con una “T” mastodontica. La storia è semplice, ingenua potrebbe dirsi nella sua complessità, un gruppo di Sonderkommando, di quelli addetti alla “pulizia” dei deportati nelle camere a gas ed alla successiva “sparizione” a mezzo forno crematorio. Un campo di sterminio, un gruppo di uomini e donne, maschere si diceva, ognuno con la sua storia, ognuno in rappresentanza di un ulteriore gruppo, detenuto li. Ognuno simbolo, ognuno vittima, ognuno carnefice. Le scene potenti, efficaci, metafore di un momento storico assurdo, di una guerra folle, di Rosa Andreone, cosi come i costumi. L’ immagine dei forni, dal tono grottesco, potrebbe dirsi, ma dall’impatto devastante, opera di Gennaro Monforte. La regia, astuta, geniale in alcuni punti, di Maurizio D. Capuano, trottola impazzita, capace di toccare ogni angolo della comicità, del dramma, del racconto storico, non esagero, il risultato è assolutamente eccezionale. E poi gli attori, ispirati, dentro la storia, il sale di questo racconto, sagome sottili, agili, tra le mille sfumature del dirsi attori, anche in questo caso con una “A”, grande quanto le ipocrisie, tante, troppe, che il testo in alcuni punti considera. Antonio Cilvelli, Emanuele Di Simone, Luigi Esposito, Arianna Festa, Emanuele Iovino, Alessandro Mastroserio, Gennaro Monforte, Enza Palumbo, Kevin Stanzione. Applausi su applausi, tutto vero, tutto meritato, tutto autentico. E poco importa se la stampa, diciamo cosi, poco considera certi spazi, certi ambienti, certe realtà in cui il teatro è solo teatro e non per forza comunanza di intenti, vicinanza sociale, politica, o peggio ancora qualcosa di poco vicino al concetto d’arte. Poco importa se troppi continuano a guardare altrove, sottraendo ad una realtà tanto florida quei riflettori che tanto ancora potrebbero restituire all’impegno, alla dedizione, al lavoro, al tanto lavoro dei suoi protagonisti. Ciò che davvero conta, in questo caso è la cifra della proposta, raccontata dal pubblico, diffusa con il passaparola o il post social. Poche luci, poche lingue al vento, tanta, tanta qualità.