“Le buste” di Gennaro Esposito è un arduo esperimento sociale, a teatro
La vicenda è di quelle quasi solite, classiche di chi si fa strada in un mondo fatto di tanti no ed ostacoli, spesso, purtroppo, insormontabili.
Quando a teatro si porta la realtà si rischia, consapevolmente o meno di andare a sbattere contro quelle che sono le reale dinamiche che regolano il fare umano. Nella migliori delle ipotesi, chi scrive di certe vicende, chi si immerge in certe trame ha ben chiara quella che è la sostanza di una riflessione che certo arriva da lontano e riguarda tutti, ma davvero tutti quanti noi. Il teatro poi è il mezzo forse più adatto per far veicolare tale riflessione.
“Le buste” è un testo scritto diretto da Gennaro Esposito, in scena in questi giorni al Teatro Tram di Napoli. Protagonisti lo stesso Gennaro Esposito insieme Marta Chiara Amabile, Giuseppe Di Gennaro ed Enrico Disegni. La vicenda, cosi come evidenziato dalla stessa presentazione dello spettacolo racconta di ” tre amici, performer e giovani artisti disoccupati che, a loro modo, cercano di farsi notare nel mondo delle performance artistiche, guadagnandosi così attenzione e riconoscimento. Per questo una volta a settimana mettono in scena, all’interno di una vetrina di un negozio sfitto, il ripetersi della vita quotidiana, indossando una busta sul viso che ne cela l’identità”.
Partendo proprio da ciò che lo stesso autore vuole comunicarci. In sede per l’appunto di presentazione, assistendo allo stesso spettacolo è possibile calarsi in una realtà, in una dimensione, esperienza se vogliamo, assolutamente inattesa. L’equilibrio tra i protagonisti in scena. Man mano che la trama prende corpo sembra alterarsi via via che la l’identità di uno di loro sembra in qualche modo staccarsi da esso. Come? La busta, certo. Il “viaggio” psicologico che sembra in qualche modo caratterizzare il percorso stesso di uno dei protagonisti riflette metaforicamente, con estrema precisione, quello che potrebbe avvenire a chi, alienato in qualche modo dalla realtà, trova rifugio in qualcosa che in effetti gli offre l’opportunità di celare la sua stessa, autentica identità. I social? probabile.
La narrazione, nonostante una iniziale fase flemmatica ed intensa è rapida se la si coglie nel suo profondo senso. Tutto accade velocemente, nei tempi che quell’equilibrio distorto ha ormai partorito. Gli attori, bravi nel calarsi perfettamente nelle proiezioni umane affidate ai propri personaggi riescono nell’intento di comunicare al pubblico quella sorta di autenticità per niente ovvia e fornire un ampissimo spunto di riflessione. La regia, attenta a seguire i passi della mente più che del corpo dei protagonisti restituisce una sorta di vivo manifesto, in cui le figure, ognuna al proprio posto, rappresentano forse molta più vita di quanto si possa immaginare.
Il resto, tutto il resto è puro teatro. Una idea, quasi casuale e lo sviluppo di una visione, di una immagine che si fa carne e serve a noi per riflettere alla fine su noi stessi. Gli applausi rappresentano la piena accettazione di questa ispiratissima sfida.