“In-sanità” di Romano e Fusco interroga ed illumina al Tram di Napoli
Ci sono storie che sembrano tirate fuori dall’assurdo, dal surreale, dall’impossibile. La verità è che tutto questo spesso, troppo spesso ci circonda.
La realtà dei fatti spesso quasi ci viene nascosta dall’irrealtà della stessa cronaca, quando ci viene raccontata, illustrata, sussurrata. Può capitarci ad esempio di sorridere di fronte ad un evento ad una accadimento ritenuto ad esempio bizzarro. Certo, ma tutto ciò potrebbe essere qualcosa di autenticamente vissuto, sentito, mai del tutto assorbito dal protagonista in questione. Può apparire complesso certo ma in realtà parliamo di qualcosa di molto semplice e purtroppo molto attuale. La realtà bizzarra che rappresenta il dramma di qualcuno.
Al Teatro Teatro TRAM di Napoli, un testo di Peppe Romano e Pietro Fusco dal titolo emblematico “In-sanità” porta in scena la bizzarria, se cosi è possibile definirla, di certe drammatiche e tragiche disavventure. In scena lo stesso Peppe Romano racconta dell’assurda giornata in ospedale di un ragazzo apparentemente come tanti, controlli, i soliti controlli che vanno avanti da una vita, unico indizio al limite dell’intrigante. Poi la realtà che purtroppo spesso riscontriamo all’interno degli ospedali, tra ricoveri, visite ambulatoriali e quant’altro. L’inefficienza che quasi diventa ordinario, che ci si aspetta di trovare. In questo caso però a margine c’è dell’altro.
La regia di Katia Tannoia è delicata sotto questo punto di vista, con garbo tra toni alti e realtà sfrontata, tutti colori che in genere in quei luoghi posiamo osservare vivamente accompagna lo spettatore verso il culmine della messa in scena, dove il dramma riuscirà a portare via ogni sorriso, ogni innocente ” è successo anche a me“, ogni pezzo di ordinario, che poi tanto ordinario non è. La tragedia dell’errore umano, che tocca una vita, la sconvolge la cambia in tutto e per tutto. L’errore umano che è malasanità che è noncuranza che è pressapochismo, sufficienza, mediocrità umana. E’ tante cose e sostanzialmente niente, cosi come quello che per la vittima alla fine si può fare. Cosa gli darà il maltorto? Cosa restituirà a un bambino il pallone sognato, la bici desiderata e quel vento tra i capelli che a dieci anni può rappresentare davvero tutto?
In scena, Peppe Romano è autentico, talmente vero da apparire egli stesso surreale se si considera l’immagine dell’attore calato all’interno di una trama tanto cruda, reale. Surreale è la sua immagine quanto magistrale il suo essere concretamente altrettanto vero. Una storia che spacca la coscienza, l’umore, l’animo. Testo intenso, vero, autobiografico, reale più che mai, purtroppo. Il teatro che amplifica, destruttura e rimette insieme i pezzi di una comunicazione necessaria. Che guida le immagini che avvolge lo spettatore. Gli autori, l’attore, la regia, meraviglioso ingranaggio per qualcosa che mancava da troppo tempo. Il buio, gli applausi, inevitabile, sentita, sacrosanta conseguenza.