“Il Giocatore”, da Dostoevskij a Gabriele Russo, in scena al Teatro Bellini di Napoli

 

 

L’atroce delirio del gioco, che rapisce ed inganna. Le pagine di una vita, il racconto di una scelta. Il gioco come tarlo, da eliminare, a possibile metafora di ciò che possiamo, o non possiamo essere. Rosso, nero, pari, dispari, ed altro. Il destino a favore, per un sogno, breve, appena sfiorato. Perchè chi gioca, vive di attimi. Da Fëdor Dostoevskij, nell’adattamento di Vitaliano Trevisan, “Il Giocatore”, diretto da Gabriele Russo, in scena, al Teatro Bellini di Napoli, fino al prossimo 26 Marzo. L’autore concepisce il testo, in un momento cruciale della propria esistenza. Si racconta, per continuare il suo percorso. Uscire dal baratro del gioco, attraverso l’affermazione della propria arte, del proprio dono, del proprio essere.

Difficile per chi si propone di riadattare un classico, immagino, è lasciarne intatto il valore artistico, il senso di fondo, il fine del lavoro, tralasciandone per quanto possibile, la natura stilistica. Il volto di una scena, la linea di un’immagine, possono, per quanto possibile prestarsi all’immaginario di chi propone una “nuova versione”, purchè questa, sia capace di arrivare alla medesima riflessione, alla simile lettura, all’altrettanto notevole qualità.

La regia, di Gabriele Russo, come sempre “multimediale”, scardina per quanto possbile la barriera che separa due epoche. Due epoche, che attraverso un immenso testo teatrale, risultano alla fine più vicine di quanto si pensasse. Un personaggio, i suoi vizi, le sue, eventuali virtù, prima e dopo, in un tempo e poi in un altro. Passato e presente attraverso un unico intenso racconto. La roulette che in scena, prende vita, e gli spazi, simulati, indotti, assolutamente funzionali alla scena, figlie di un attento lavoro e di un astuto punto di vista, che concede al testo ogni cosa, che si da ad esso, e fa in modo che niente possa risultare alla fine, fuori posto. Gli attori, Daniele Russo, Marcello Romolo, Camilla Semino Favro, e poi Paola Sambo, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Alessio Piazza, Sebastiano Gavasso meravigliosi ingranaggi di un meccanismo che produce intense riflessioni, poetici slanci, ed allegoriche visioni, si prestano con disarmante estro al gioco solenne delle parti. Nascono e muoiono, nel tempo della scena, per esser parte viva, di una realtà puramente artistica. Figlia d’una più autentica realtà, e di essa, spesso, ingannevole trasposizione. Ma non sempre, non qui. Qui la storia prende vita, e si fa vita. L’autore ed i suoi giorni che si fanno immortali, e si fanno arte. Gli attori, fantastiche proiezioni d’una visione assolutamente intima dell’autore. La regia, e chi la fa, libero da schemi e catene, ispirato dalla propria interpretazione. Purchè sia onesto, purchè sia arte, purchè sia autentico teatro.