Fronte del porto, al Teatro Bellini di Napoli. Un ritratto della città, tra passato e presente.
In una Napoli operosa e soffocata dall’assurdo controllo cammorristico, si compiono le vicende di un gruppo di ragazzi, di uomini, di figli della città, perduti tra il porto, specchio per il mondo, per una realtà senza scrupoli, ed il tentativo di alzare la voce, contro il soppruso, l’ingiustizia, l’oltraggio al vivere civile di chi si nutre dei suoi fratelli. Alessandro Gassmann, mette in scena al Teatro Bellini di Napoli, il racconto che Kazan, negli anni cinquanta affidò all’estro scontroso di Marlon Brando. “Fronte del porto”, dalla mala di New York a quella napoletana, al centro, uomini e la città, sfregiata, ferita, piangente, davanti ai sui figli disperati. La redenzione quasi violenta di Francesco, l’arroganza sofferente di Giggino Compare, il coraggio sfrontato e quasi inaspettato di Don Bartolomeo, la dolcezza di Erica. Gassmann, cuce e ricuce, sui personaggi, i segni e gli aspetti più intensi della vicenda, sullo sfondo imamginifico e virtuale di una città che dorme, poi si sveglia e poi ancora dorme, senza quasi accorgersi di ciò che nel suo ventre ha luogo. La città, sfondo, la bellezza che sta sullo sfondo, immobile ed inutile, mentre dentro tutto è marcio, tutto grida, tutto è abbandonato agli uomini, che tra loro lottano, vivono, muoiono, per il gusto di essere, o l’esigenza di resistere. Daniele Russo ed Ernesto Lama, i due volti di una medaglia perennemente in bilico, insieme agli altri protagonisti, in scena, raccontano scrupolosamente il diritto alla resistenza di un popolo schiacciato dal soppruso, il timore della denuncia, la paura costante, il dubbio d’azione, la ricerca d’aiuto di chi sente di dover esprimersi anche a nome di chi non riesce a far sentire la propria voce. Le luci, le scene, artificiose espressioni di grazia di una città incantevole e spietata, proiettano lo spettatore in un passato nemmeno troppo lontano, lasciando alla riflessione il campo d’azione opportuno, per tornare ai nostri giorni, dove poco, probabilmente, è davvero cambiato. La cifra stilistica della rappresentazione è davvero importante, ogni cosa li, oggetto, anima, corpo, di un qualcosa che combinato, ad arte, con tutto il resto si erge ad espressione di vita, profumo, emozione. La città, riprodotta, in tutte le sue vesti, nei suoi angoli più bui, nel cielo triste e fermo, nelle sua acque, meraviglia e spietato mezzo. Le acque che curano l’anima, affondano certezze e bagnano, sporcando e ripulendo quel lembo di terra che chiamiamo casa, che tanto amiamo, tanto ci fersice, e tanto ci da vita.