Filippo Timi e Marina Rocco nella casa di bambola di Ibsen, al Teatro Bellini di Napoli
La scena, l’ultima, si presta ad icona, ad allegorica rappresentazione degli eventi. Un uomo, rimasto solo, sembra riflettere su cosa realmente è stato, prima che tutto finisse. “Una casa di bambola”, di Henrik Ibsen, arriva al Teatro Bellini di Napoli, in una versione nuova, tradotta e riadattata da Andreè Ruth Shammah. Il confronto, eterno, tra uomo e donna, nell’opera di Ibsen, trova in questa versione, l’ennesimo interessante punto di vista, l’ennesima angolatura, l’ennesima dimostrazione della complessità estrema che nasce e vive in un legame, in un rapporto, in uno scontro, di genere. Filippo Timi e Marina Rocco, si calano con la bravura infinita che li caratterizza, nel ruolo dei protagonisti, offrendo una chiave di lettura, che non mette il punto, all’interminabile riflessione, ma concede, un’analisi che alla fine, ci immerge ancor di più nella vicenda. L’ingenuo coraggio, il paradossale, ingenuo senso di reponsabilità di Nora, autentico ed incompreso è il punto intorno a cui nasce e matura la vicenda. Un uomo, sostenuto in ogni modo dalla sua donna, fino alla definitiva affermazione professionale. Un’uomo, all’oscuro di ciò che è stato quel sostegno, di ciò che ha rappresentato e rappresenta per la sua donna. La verità svelata, lo scontro, inevitabile, ed una fine, annunciata, incomprensibile, magari superficiale negli approcci di chi non vuol comprendere. Un uomo ed una donna, che amano. Un uomo, che non accetta una realtà poco incline alla sua visione delle cose. Una donna, lontana da ogni visione, che si spinge oltre, per amore. La scena conclusiva, può essere icona del racconto, punto di partenza e di chiusura di un discorso intenso, a tratti estremamente coinvolgente, ma senza apparente, netta conclusione. Solo un’immagine, che può esser tutto, e può esser poco.