Lo spettacolare Don Juan dei fratelli Russo: orgia d’arte al Bellini di Napoli
Ispirato al classico Don Giovanni di Moliere, personaggio della letteratura apparso per la prima volta nel 1632 nella commedia di Tirso de Molina.
“Don Juan in Soho” è l’allestimento del drammaturgo e regista britannico Patrick Marbel nel quale Don Giovanni rivive il suo carisma di vizioso amante e instancabile seduttore adattandosi alla società dei nostri giorni, fedele ai vizi e ai peccati, diluiti nelle varie forme di esibizione dell’esteriorità.
Nel regno dell’eccentricità, dell’esagerazione, della follia, della sregolatezza, del piacere e del
desiderio, il Don Giovanni portato in scena al Teatro Bellini di Napoli da Gabriele Russo, e
magistralmente interpretato dal fratello Daniele, è un corteggiatore irriverente, narcisista,
egocentrico, cinico, spregiudicato, perfido e perverso, dedito alla sola ricerca di un desiderio di libidine
costantemente inappagato.
D.J., questo il nome del nostro Don Giovanni, scatena la sua esuberante follia in quel di Soho, quartiere
londinese dove le luci dei neon, i suoni assordanti e i colori dei locali abbagliano fino a mostrare lo
squallore dei gesti, dei luoghi e delle parole della natura più vera delle cose e delle persone, catapultati
su di una giostra in perpetuo movimento. Una giostra sia figurata che letterale. Eh sì! Perché la
scenografia proposta da Roberto Crea al Teatro Bellini, luogo sempre alternativo e all’avanguardia
sotto questo punto di vista, è realmente una piattaforma girevole, sulla quale salgono tutti i personaggi
di questo circo senza morale.
Il senso figurato, invece, è dato dalla rappresentazione dell’esistenza
umana e dalla girandola di circostanze che ci ritroviamo a vivere e nelle quali, spesso, non riconosciamo
quelle opportunità che ci vengono date per provare a trasformare le esperienze di dolore in pura
bellezza. E D.J., in questo aspetto, ha una visione tutta sua del cogliere l’attimo, incapace di provare
qualsiasi tipo di senso di colpa agendo secondo un libero arbitrio che non gli permette di occuparsi
delle conseguenze che i suoi comportamenti possono avere sugli altri (sua moglie su tutti, interpretata
dalla solida Noemi Apuzzo). Ma, allo stesso tempo, egli è lucidamente critico verso la classica ipocrisia
espressa dal mondo che ci circonda e da ciò che ne deriva.
Il messaggio incarnato da questo Don Giovanni e dalle sue azioni si esalta ancor di più nel confronto costante col suo personale servitore, complice e a volte anche primo giudice dei suoi comportamenti: Stan, interpretato in maniera convincente da Alfonso Postiglione, che assume a tutti gli effetti il ruolo di una spalla comica per il protagonista, anche in momenti così assurdi e surreali da ricordare quasi “Aspettando Godot”. Nel complesso, lo spettacolo proposto da Gabriele Russo gode di un parlato esplicito e diretto, di una recitazione schietta e senza censura, ma non viene mai meno il buon gusto, la godibilità e l’ironia.
I richiami alla morale, al rispetto per la vita, per l’amor proprio e altrui risultano alla portata di tutti e vengono trattati con estrema leggerezza. Divertire, sorprendere, riflettere: questo è il diktat.
D.J. seduce donne (e uomini!), compie atti osceni in luogo pubblico, sfoggia un lessico forbito e al
contempo volgare, istiga alla violenza (di cui ne è egli stesso vittima) e si spaccia per ciò che non è
(dottore incluso). Ma non è uno stupido, anzi. È il “mostro moderno”, utilizzando la definizione del suo
servitore Stan, il perfetto prodotto della nostra società. Ed è proprio questo il punto di forza di “Don
Juan in Soho”: lo spettacolo è un viaggio di quasi due ore, al termine del quale se ne esce cambiati,
tra risate inaspettate, momenti di comicità esilarante, incisivi momenti di riflessione e un messaggio
forte, chiaro e spaventosamente accurato
di Giuseppe Schioppa