Da Elio Petri a Claudio Longhi, La classe operaia va in paradiso, in scena al Teatro Bellini di Napoli
La natura della scena, in partenza, pone lo spettatore davanti alla condizione di conoscere, più, o meno, ciò che con il buio in sala scorrerà vivo sul palco. Immagini, ricostruzioni, contesti, ambientazioni. La vicenda di Lulù, della fabbrica, del lavoro a cottimo, e di tutto quello su cui si potrebbe riflettere, circa la natura, l’evoluzione, probabilmente il decadimento di una classe, quella operaia, smarrita tra lotte ideologiche, umane, etiche. Claudio Longhi, mette in scena un “classico”, di Elio Petri, e di un epoca lontana, nella sua personalissima rivisitazione teatrale, “La classe operaia va in paradiso”, in scena, in questi giorni al Teatro Bellini di Napoli, è un incontro, confronto, con un pezzo di storia, del cinema, del paese, di una coscienza, lontana, quasi sconosciuta se ci si approccia al tema con ingenua superficialità. Il percorso scenico di Longhi, entra ed esce dalla storia, dalla trama originale di Petri. Affonda nell’epica di Lulu per poi uscirne, e considerarne gli aspetti più consistenti, più romantici letteralmente parlando, più umani se l’approccio cambia, e si bada alla realtà, del tempo. “Alla sua uscita nelle sale cinematografiche nel 1971 – racconta Longhi – La classe operaia va in paradiso di Elio Petri riuscì nella difficile impresa di mettere d’accordo gli opposti. Industriali, sindacalisti, studenti, nonché alcuni dei critici cinematografici più impegnati dell’epoca, si ritrovarono parte di uno strano fronte comune contro il film. E la pellicola – continua – non ha così avuto una grande fortuna in Italia, nonostante la Palma d’Oro a Cannes e la galleria di stelle presenti, fra cui Gian Maria Volonté, Mariangela Melato e Salvo Randone. La vicenda dell’operaio Lulù Massa – conclude Massa – stakanovista odiato dai colleghi, osannato e sfruttato dalla fabbrica BAN, che perso un dito scopre per un istante la coscienza di classe, si intreccia qui con le vicende che hanno accompagnato la genesi e la ricezione contestatissima del film”. La natura, dell’opera, cinematografica prima, oggi tatrale, nella visione del regista, è racchiusa in queste poche parole. Il racconto fedele, ipotizzato, di uno squarcio di classe operaia, in un preciso momento storico. Lontano dall’obbedienza politica, dalla corerenza sindacale. Uno spaccato, acutizzato sotto l’aspetto metaforico prima e pratico poi, nella sua rivisitazione tratrale, senza bandiera, perciò di tutti, o forse di nessuno. La prova, superba e credibile degli attori in scena, e non solo, rende piacevole l’esperienza, che a tratti scuote ed a tratti lascia spunti di riflessione, sparsi un po’ ovunque. Il percorso di chiude, e i titoli di coda, prima autentici poi ipotetici, consegnano alla memoria l’opera, fatta di tanti volti e tante storie, racchiuse in un unico brillante riferimento, dannazione o gloria, guerra o pace, inferno o paradiso.