Il ritratto di Gabriele Russo insegue Jennifer, nel sogno di Annibale Ruccello
Intenso, complesso, affasciante. La pennellata di Gabriele Russo al ritratto di Ruccello lascia piacevolmente coinvolti.
Gabriele e Daniele Russo, il primo davanti alla scena, il secondo dentro, affiancato dal bravissimo Sergio Del Prete, indagano, scrutano, immaginano scenari, tra le pagine di un testo che è pietra miliare, è riferimento, è fonte d’ispirazione. “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello, (in scena fino al prossimo 9 gennaio, al Teatro Bellini di Napoli) in attenta ed impaziente rivisitazione, che poi parlare di rivisitazione sembrerebbe poco corretto, almeno secondo lo stesso regista.
Poco corretto perchè secondo le intenzioni che governano la messa in scena. Di rivisitazione non si tratta, e per la verità nemmeno se ne scorge il tentativo. Ciò che invece appare in tutta la sua più autentica originalità e fascino è il tentativo di entrare nel testo, ed immaginare, ipotizzare, e quindi mostrare l’ipotetico contesto reale che circonda la vita di Jennifer, i suoi tormenti, le sue visioni, il distopico scenario che avvolge la trama e racconta di una donna, o del sogno di esserlo, in un pezzo di mondo, che probabilmente rifiuta il desiderio dell’affermazione emotiva, e personale dell’individuo. Affermazione dei propri desideri, della propria natura. Gabriele Russo spinge sull’estro di Daniele Russo che in scena dipinge l’ipotesi, la suggestione di un personaggio dall’indiscusso fascino letterario.
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Spinge, la regia, sulla figura interpretata con estrema efficacia da Sergio Del Prete. Lui, che fa da contorno alle vicende della protagonista, entrando nel secondo personaggio della vicenda e poi restando li, in scena, quasi a voler simboleggiare come suggerito dallo stesso Gabriele Russo, un occhio vigile, attento, sulla figura di Jennifer. Jennifer metafora, Jennifer contesto sociale, Jennifer città, Jennifer donna e uomo, Jennifer paura d’amare, Jennifer antieroe. Potrebbero sprecarsi gli aggettivi, o i tentativi di definire il personaggio, la verità , forse, come sembra suggerire Gabriele Russo, è la poca disponibilità del personaggio alla stretta e forzata definizione di se stesso. Jennifer tutto e Jennifer niente.
Una donna, il sogno d’esserlo, ed un amore, o il sogno di poterlo vivere. Disagio, paura, abbandono. Suggestione e realtà. L’una nell’altra. Jennifer è.. vive, o sogna. Intorno a se, tangibile realtà, o disturbata onirica visione? Gabriele Russo rincorre Ruccello nell’individuazione di qualcosa che forse ancora non conosciamo, ma nel frattempo offre al pubblico un gigantesco momento di autentico teatro.