La vita, e l’intimo affresco di limiti e miserie in scena al Mercadante di Napoli
Uno sguardo intenso, un’opera delicata. Tutto e niente, il vivere ed il suo contrario. Il racconto dei giorni che non sono giorni.
Ci sono alcuni momenti della vita che irrompono nel quotidiano. Sono come l’alta marea: il livello del mare s’innalza e copre i detriti, i fasti o la bellezza della terra ferma. Il cambiamento radicale o la presa di coscienza non è un processo lungo, ma è una frattura. È Istantanea. Ti attraversa sommessamente ma è in grado di travolgere l’ordine ontologico della vita. È questo ciò che accade al personaggio principale della pièce teatrale “Casa di Bambola” di Filippo Dini, fedele alla medesima opera del celebre drammaturgo norvegese Henrik Ibsen.
Lo spettatore è indotto a seguire una sequela di domande che non vengono mai poste esplicitamente ma s’innestano nella mente dello spettatore. Domande che risalgono agli albori dell’istituzione familiare: Nora hai giocato con i bambini ? Nora hai acquistato i regali di Natale ? Nora hai esaudito i miei desideri ? Ma tu, Nora, chi sei ? Nora è una bambola. Per il marito, Torvald Helmer, troppo “bambina” per essere concepita come donna, al netto della sua vita lieve e della sua sensualità disarmante. Il marito la percepisce come uterina, viziata dal padre che le ha concesso denaro e serenità. Tutt’altro che un soggetto politico.
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Nora è agita dalla struttura familiare, è disciplinata dall’aspettative continuamente riposte sul ruolo di madre e donna all’interno di una ricca famiglia borghese. Ma la bambola scricchiola, vacilla e, infine, si spezza: le fratture rappresentano l’innesco della narrazione.
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Sono trascorsi 142 anni dalla messa in scena di “Casa di bambola” ma l’opera continua ad appassionare gli spettatori di teatro di tutto il mondo. La regia di Filippo Dini si misura con l’iconico capolavoro rispettandone i ritmi e i tempi narrativi. Il regista focalizza la sua attenzione cogliendo le ipocrisie di un’esistenza coniugale solo all’apparenza rispettabile ma che implode nei momenti di crisi. Al fianco di Filippo Dini, autore e interprete del personaggio di Torvald Helmer, troneggia Nora di Deniz Özdoğan, talentuosa attrice di origini turche e naturalizzata italiana. Completano il cast Orietta Notari, la domestica presso gli Helmer, Andra di Casa, il procuratore legale Nils Krogstad, Eva Cambiale, la signora Linde, e Fulvio Pepe, il dottor Rank.
Nell’arco narrativo dei personaggi, Nora bambola-bambina comprendere le “regole del gioco”: una totale immersione in un regime familiare palliativo. Dimmi il tuo rapporto con il dolore e ti dirò chi sei – recitava il filosofo Ernst Junger. Il marito concepisce come unico strumento d’amore, l’espulsione del dolore attraverso gli agi di una bella casa, di un’etica della parsimonia e del controllo domestico. Ma il dolore è un affidabile criterio di verità. Quando Nora inizia a soffrire spalanca gli occhi e le pareti della casa dorata divengono pareti di plastica, troppo piccole per contenere una vita vissuta pronta a deflagrare.
Senza dolore non abbiamo né amato né vissuto. Sacrificare la vita, le proprie scelte esistenziali sull’altare della sopravvivenza è un’operazione anestetica, lesiva. Il dolore invece è differenza, ci consente di percepire le sfumature. Consente a Nora di fronteggiare un Torvald sornione la cui sicurezza si sgretolerà nello scontro dell’ultimo, affascinante, terzo atto. La presa di coscienza che tiene ben strette le redini del gioco, si conclude con l’abbandono del tetto coniugale, dei ruoli ma anche della difficoltà di costruire un nuovo mondo.
La messa in scena insegue la tensione psicologica che è magistrale grazie al merito di tutti gli attori. La narrazione si arricchisce della gentile ironia di Andra di Casa, del grido disperato di Fulvio Pepe. Precisi e suggestivi anche i rinvii a memorie della tradizione napoletana, ove la musica partenopea si intreccia con il desiderio di un impossibile tempo d’amore decantato da Lina Sastri.
Il regista Filippo Dini, dunque, conferisce un’aura di fragilità ma allo stesso tempo di autenticità ai personaggi senza peccare di eccesso di malodrammaticità. Il regista mostra un sentire – ancora oggi attuale – dell’inattualità, o forse problematicità della scaralità persistente nei vincoli emotivi, nei rapporti amorosi e, infine, nell’istituzione matrimoniale.
di Luigi Celardo