Capolavoro. Le verità di un influencer al Teatro Tram di Napoli

“Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti” disse Warhol. Vera o falsa che sia questa ipotesi, oggi, i 15 minuti non bastano più.

Capolavoro – Antonio de Stefano

Bisogna esserci, essere presenti e visibili, sentirsi parte del mondo. Anche se questo mondo di visibilità passa attraverso gli schermi di uno smartphone, costretti nei pochi secondi di un reel o delle stories, bisogna urlare al mondo “io ci sono ed esisto!”.

“Capolavoro” testo e regia di Gennaro Esposito, dal 14 al 16 aprile al Teatro Tram di Napoli, racconta una delle tante storie di “ascesa al successo” attraverso i social media. Dissacrante, scomodo, ironico. Effe, l’influencer, interpretato da Enrico Disegni, ci racconta tutta la piccolezza che si cela, a volte, dietro questa fama improvvisa. Crudo e, allo stesso tempo, divertente, lo sguardo gettato sul mondo dei social su come ciò che è evidente, cioè la finzione, viene letta per pigrizia, o per illusione, come una realtà.

Una critica, non troppo velata, allo schiacciate mondo del lavoro, alla gentrificazione massiccia, ad una società che mortifica l’individuo e la sua unicità, e che (ci?) piega ai diktat delle tendenze imperanti.
Effe è un ragazzo pigro, ma con molti sogni di rivalsa, tra lavori frustranti, che vanno e vengono, e distrutto da un amore finito nel piú tragico dei modi. Un animo delicato schiacciato dal peso della vita.
Da un evento grottesco a cui assiste si accende la scintilla nella mente di Effe.

La consapevolezza della stupidità umana! La seduzione della facilità con cui puoi giungere alla fama grazie a qualche video irriverente e foto da vacanza perenne. Consapevolezza da sfruttare a suo favore, la costruzione di una vita fittizia da dare in pasto ai follower lo porta, finalmente, al successo mediatico.
Si piega alle regole, alle situazioni degradanti, ai “non vorrei ma devo”.
Un moderno Narciso, innamorato dell’immagine, costruita, di se stesso. Incastrato nei dubbi tra la realtà e la finzione.

Effe rivela al suo pubblico tutti i morbosi retroscena della sua vita per festeggiare il milione di follower. Un’ altra fetta di se stesso data in pasto ai media, la parte piú vera della sua vita spogliata e venduta per accrescere la fame di visibilità. Brillante e divertente l’intero punto di vista sul mondo dei social media, meno coinvolgente, purtroppo, il racconto della sua vita. L’emotività e l’empatia sono, forse, messe da parte per accentuare il distacco tra realtà e finzione. L’emotività e il senso di abbandono non riescono a prendere una vera dimensione nella storia, fanno da contorno e mezzo per raccontare l’ascesa al successo.

“Capolavoro”, tra verità e apparenza, fa pensare a come e quanto i social abbiano peso e spazio nella nostra vita…ed un po’ fa venire voglia di spegnerli questi smartphone.

Ilenia Borrelli