“Barabba”: il racconto degli ultimi, un grido disperato in scena al Teatro Piccolo Bellini
Ci sono racconti che possono riguardare gli ultimi, quelli che non chiedono redenzione, che non ne sentono l’esigenza. Questo è forse uno di quelli.
Un testo che paradossalmente può avere il sapore quasi del tributo, non elogio, ma semplicemente racconto di qualcosa che spesso può addirittura rimanere nell’ombra. Profili, tratti, storie e tratti di chi è ai margini, di chi la salvezza, apparentemente sembra non cercarla, al di la del fatto, poi, di desiderarla o meno.
“Barabba”, di Antonio Tarantino, diretto da Teresa Ludovico ed interpretato, in scena, da Michele Schiano di Cola è un testo, intenso, nudo, per cosi dire, simbolicamente più che mai crudo. Un solo attore e tanti, tantissimi volti da interpretare, tante storie, intime riflessioni, candide rivelazioni. In scena uno, poi dieci, forse cento. Il tutto incastrato tra racconto evangelico e pezzi di quotidiano. Il linguaggio è feroce, vivo, rappresentazione viva degli stessi volti proposti.
Barabba è un ultimo, e con gli ultimi, come gli ultimi, racconta se stesso dalla cella, tra pseudo ambizioni, convinzioni e umane, folli linee di pensiero. La regia di Teresa Ludovico, attenta e visionaria, considerando il contesto, la scena, incastra alla perfezione l’uomo tra le sue mille contraddizioni, fa in modo che la trappola sia evidente pur non consapevolmente presente nell’idea del protagonista, dei protagonisti.
Niente è lasciato al caso, ogni immagine ha la sua precisa collocazione in un formato che grida salvezza e denuncia. Il sociale, l’autentico, lì dove la vita stringe i suoi nodi e spesso soffoca i più deboli. Barabba, uno o tanti, tutti magnificamente interpretati da Michele Schiano di Cola. Il corpo, la voce, la fatica e la disperazione travestite da orgoglio, quasi fierezza. Una maschera, o forse tante altre, ognuna con il proprio linguaggio, ognuna incredibilmente vera, da un’unica voce, una sola anima, un solo volto, la grandezza di chi in scena è tutto e sa essere tutto. Il pubblico applaude, consapevole della bellezza rappresentata, approvando ogni immagine, suono, rappresentazione di vita.