Il mito di Muhammad Ali, corpo e anima in scena al Teatro Piccolo Bellini

L’ispirazione nasce concretamente dal corpo di Muhammad Ali, un corpo allenato, messo in gioco, sfidato, osannato, osservato, acclamato; un corpo astuto che sa come attutire un colpo, un corpo pronto, forte, nero, in ebollizione. Un corpo che fa delle differenze una forza, un vanto, una battaglia. Un attore e un regista, traendo ispirazione dal corpo del indimenticabile pugile, metafora della forza che supera ogni limite, si confrontano, sotto gli occhi del pubblico, con il senso dell’impossibile e della sfida”. Francesco Di Leva e Pino Carbone, sintetizzano, in poche righe, a mio avviso magnificamente, ciò che è in fin dei conti l’anima di una messa in scena, di un dialogo tra artista e pubblico, di un’immagine non del tutto nota. Lo spettacolo in questione è “Muhammad Ali”, di e con gli stessi Di Leva e Carbone, drammaturgia di Linda Dalisi, andato in scena nei giorni scorsi al “Teatro Piccolo Bellini” di Napoli. Colpisce, l’introduzione proposta all’inizio, perchè ciò che ci si può aspettare, da una simile sintesi, è completamente differente da ciò che in realtà si manifesta, agli occhi del pubblico, perchè tutto è stravolto e quindi originale, perchè tutto in quel contesto è teatro, il mezzo, il soggetto, la missione.

C’è Ali, è vero, anche Clay, prima del passaggio all’Islam. C’è il pugile, il simbolo di una nuova possibilità per l’umanità, c’è il razzismo, c’è la resistenza ad esso, c’è l’ingiustizia, il disagio. C’è qualcosa, di vagamente immaginabile, che è il contesto, l’estratto di quel personaggio, e poi c’è quello che non consideri, non immagini fino in fondo. C’è il Muhammad Ali figlio della storia, sentiero di verità e giustizia, grido disperato di chi è ultimo, speranza del diverso, simbolo di chi è più in la, rispetto alla luce. La sua casa è il margine, la periferia del mondo. Ali, simbolo di quella vita, vera, autentica, spietata, che Di Leva rappresenta e recita con la maestria, dannatamente spontanea, propria di chi annusa quegli angoli di mondo, di chi li osserva, di chi li calpesta e ne prende traccia. Pino Carbone dirige il tutto come se in realtà il tutto non avesse un tempo. Scaraventa le immagini, le parole, i drammi sul pubblico, perchè restino, perchè facciano male, perchè lascino campo al pensiero. “Muhammad Ali”, è teatro, è ricerca, è impegno sociale, è ricerca e trasmissione di speranza. E’ un uomo, ed il suo racconto. E’ un racconto, ed il suo mito.