“Ai margini della foresta”, con Carlo Verre, in scena alla Sala Assoli di Napoli

Un uomo solo, con un gran bisogno di relazionarsi, senza mai nascondere la propria identità, seppur in un mondo che non lo riconosce e che vorrebbe poter cambiare. Nella sua mente, però, un universo irreale, l’utopia di un sindacato internazionale che tuteli i più deboli, un microcosmo in cui non essere schiavi delle istituzioni, dove funzioni soltanto la difesa di quelli non troppo forti e ci si possa innamorare senza barriere ed esprimersi senza doversi nascondere nelle viscere di una foresta. Un mondo dove avvengono le cose più strane, senza che si possa intervenire neanche per ricordarle. Una dimensione piena di specchi che riflettono la propria immagine e, con essa, tutto quello che non si vuol vedere; e allora è meglio metterseli alle spalle. Un luogo dove è, però, ancora possibile una catarsi, di cui la pioggia, elemento costante, è l’emblema. Ma poi, c’è veramente un interlocutore o si tratta soltanto di un pensiero rivolto a se stesso, del bisogno urgente di relazionarsi al proprio io (alla ricerca spasmodica di un sogno)?”. “Ai margini della foresta”, andato in scena alla “Sala Assoli” di Napoli, nasce da uno studio su Koltès, è un monologo, interpretato con estrema bravura da Carlo Verre e diretto da Tiziana Mastropasqua. Un uomo è solo, in un angolo di mondo, poco chiaro, o forse fin troppo immaginabile, è li e si interroga, sulla società che lo circonda, sulla sua vita, e su ciò che di utile, potrebbe dare ad essa. Con convinta stravaganza, esplora se stesso, fino a giungere a conclusioni a metà tra riscatto e rassegnazione.